Nelle opere di Pia Ruggiu la visuale è subito catturata dall’elemento compositivo e dalla dominanza timbrica del colore bianco che lo avvolge. Il primo scaturisce da una sorta di combine painting;l’intenzione tecnica che da Antoni Tàpies e da Alberto Burri a Rauschemberg funziona come una delle modalità espressive di più duttile e multiforme impiego e, dunque, facilmente rintracciabile nel variegato strumentario delle avanguardie novecentesche. Così Pia Ruggiu assembla frammenti di stoffa, carta fatta a mano, cotone per arazzi, tela, fogli di giornale messi a macerare, modellati plastici, ottenendo aggettanze, marezzature, panneggiamenti che improvvisi cedono ad intagli profondi o paiono interrotti da esausti sfilacciamenti della tramatura. Gli stucchi, i gessi, la colla e il cemento con i quali l’artista muove la ricerca dei valori
compositivi della forma, che emerge sorretta dal raggiungimento dei suoi equilibri spaziali, dichiarano l’ origine materica della sua ispirazione. Ma questo è un regno dove la materia parrebbe ormai dimenticata nella seccagna degli ossari, dove i brani di tessuto sono prosciugati da un inaridito svuotamento. Il regno di una materia quasi pietrificata sul limite d’una irrevocabile assenza. Come si fosse ritratta nel sonno calcificato per il depositarsi delle concrezioni polveriche e cementizie. Su questa «strinata proda», quasi di montaliana assonanza dove, tra le scialbature subito scrostate o dilacerate come dal passaggio di un impetuoso soffio salino affiora «una reliquia di vita», si decifra uno stupore per le plaghe desertiche, estese in un silenzio lunare, che si dischiudono sulla faccia inorganica della |
materia. I reperti di una simile opera di scrutamento condotta da PiaRuggiu recano l’orma di un altro percorso che con Tàpies attraversa l’estetica del materico. Dove ai fasti cromatici si avvicendano le ossificazioni geometriche e le falde di luce scarnificate. Schematismi lineari e stilizzazioni figurali sopra superfici di componenti più secche, collose e solide, tutte prese dalla morfologia edilizia del costruire, del fissare la forma, vegliano di frequente su dei calchi dove la materia ha lasciato il posto alle «astrazioni geometriche», stilema critico coniato in Spagna per Francisco Farreras, altro nome componibile per correspondances tematiche ed espressive. Qui l’ispirazione di Pia Ruggiu richiama un sottinteso che, dalle loro posizioni storiografiche ed ermeneutiche taluni interpreti hanno preteso di ravvisare nell’Informale, e nel Materico: ovvero la dipendenza di questi linguaggi dalla matrice del concretismo; infatti essi otterrebbero delle figurazioni essenzialmente astratte perché prive del vincolo
|
|
La linea irrompe nel regno del silenzio siderale della materia ritrattasi nel suo sonno inorganico con la continuità ed insieme con lo sviluppo di un pensiero, sommuovendone la cartografia scheletrita. Creazione decisiva della poetica di Klee; per suo merito, la linea fa entrare con forza la temporalità e il percorso che l’attraversa, riconducendo fenomenologicamente alla coscienza. Un tale percorso conduce alla sorpresa che ci attende nelle opere di Pia Ruggiu: la combine di materiali del più corrivo uso quotidiano in quanto è al tempo stesso proiezione di un ‘ espressione mentale non può essere meramente da questa assimilata e trascesa, poiché consente di addentrarci nella dimensione profonda della coscienza attraverso le sue pieghe sensibili, corporee. Allora le desolate geometrie mutano all’improvviso di segno, rivelando la vita interiore che hanno custodito e che lì continuano a salvare. Le grevi faldature si rivelano stratificazioni della coscienza dove sono trattenuti, depositati, elementi costitutivi dell’esperienza ma che sono stati espunti, dispersi come scorie dalle architetture dell’Ego o che, in un computo diaristico, sono rapiti nella dissipazioni dei giorni.